
Anche i più ottimisti l’avevano temuto: il grande successo del Superbonus, con richieste fioccate da ogni parte, ha rapidamente esaurito le somme a disposizione. E i fondi impegnati superano attualmente quanto già stanziato.
È l’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) a dichiararlo. In base ai lavori in corso solo a giugno, la spesa raggiungerà i 38,7 miliardi, 5,4 in più di quanto stanziato per tutta la durata degli incentivi. A conti fatti, mancano ancora 18 mesi per chiedere l’agevolazione intera, prima dei due anni in cui l’aliquota verrà ridotta.
Le scadenze, infatti, incombono, e il governo non intende concedere proroghe. La prima è il 31 dicembre 2022 per gli edifici unifamiliari, per i quali entro il 30 settembre deve essere stato effettuato almeno il 30% dei lavori. Ad un anno esatto, il 31 dicembre 2023 scadranno quindi termini per gli edifici di Iacp ed enti assimilati, che entro il 30 giugno 203 abbiano portato a termine il 60% dei lavori. Stessa data anche per i condomini e gli edifici con proprietà unica e da 2 a 4 abitazioni. L’agevolazione del 110% proseguirà oltre queste date solo per condomini in aree colpite da eventi sismici negli anni successivi al 2009. Tutti gli altri vedranno scalare la quota di agevolazione al 70% per il primo anno, e al 65% nel 2025.
La soluzione, quindi, potrebbe essere proprio in questo scalare delle cifre finanziate. La possibilità di richiedere l’incentivo, infatti, non verrà bloccata prima della scadenza dei termini. Per fare questo, servirebbe un provvedimento normativo ad hoc, che avrebbe però ripercussioni su imprese e famiglie che hanno già dato inizio, ma non terminato i lavori. Il problema sta nel fatto che le banche, che già hanno rallentato le cessioni del credito senza conferme sui fondi da parte del Governo, probabilmente si riveleranno ancor meno inclini a ritirare i crediti fiscali emergenti.
La speranza, dunque, è che con il passare del tempo e il ridursi delle quote per quanti non abbiano raggiunto i livelli minimi di lavori terminati, il ridotto accesso al credito porti molti richiedenti a tirarsi indietro, per l’impossibilità o il disinteresse di finanziare i lavori di tasca propria. Ma se anche la questione dei fondi venisse così risolta, resta il problema delle cessioni, che ad ora sono limitate solo a 3. Questo significa che il credito, nel caso uno dei detentori abbia necessità di liquidi e decida di “venderlo” a qualcun altro, non può subire più di tre passaggi di mano. Una regola che, insieme ai controlli più rigorosi sulle pratiche e l’aumento del costo del denaro, rende meno attraenti le operazioni di credito.
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